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1983, Udo Lindenberg suona a Berlino Est

25 Ott

Un evento storico. Il 25 ottobre 1983, esattamente 30 anni fa, il cantautore e rockstar della Germania Ovest Udo Lindenberg suonava al “Palast der Republik”, centro polifunzionale di Berlino Est e sede della Volkskammer, il parlamento monocamerale della Repubblica Democratica tedesca. Era dal 1975 che la star progettava di suonare oltrecortina. In quell’anno aveva scritto Rock Arena in Jena, in cui nei primi versi racconta il suo desiderio (mi piacerebbe cantare da voi/ miei cari amici della DDR) e negli anni successivi non si era mai nascosto. Ma la sua musica, molto seguita dai giovani di entrambe le Germanie era considerata pericolosa dai vertici della Germania Est. Temi troppo poco socialisti e inadatti a formare una classe che costruisse il futuro della “Repubblica degli operai dei contadini”. E come se non bastasse nel 1983 Udo, a 37 anni pubblicò Sonderzug nach Pankow (Treno speciale per Pankow). cover di Chattanooga Choo Choo di Glenn Miller di  in cui si rivolgeva in toni irriverenti e beffardi a Erich Honecker, nientepocodimenochè “il compagno presidente” della DDR. Potenzialmente una pietra tombale sulle speranze di suonare al di là del confine. Ma gli anni Ottanta, con i movimenti per la pace dalle due parti del muro, Lindenberg, attivista contro la militarizzazione delle due Germania, diventò un ospite “utile” per la nomenklatura della dittatura. A contattarlo nell’estate 1983 fu Egon Krenz, presidente della Frei Deutsches Jugend, la potentissima giovanile della Sed il partito unico. I due si incontrarono e dopo una lunga discussione trovare un accordo. Lindenberg avrebbe partecipato a un “concerto per la pace” organizzato dalla FDJ a Berlino Est e le autorità avrebbero concesso al cantautore dell’Ovest di fare il suo agognatissimo tour nella Ddr. L’appuntamento fu fissato per la fine di ottobre e Lindenberg suonò davanti al pubblico scelto di futuri dirigenti del Partito. Fu un successo (anche se i “veri” fan del cantante erano fuori dal Palast der Republik) ma quello fu il suo primo e unico concerto nella DDR, perchè il promesso tour fu cancellato.

Parole, parole, lunghe parole

3 Giu

dizionario_duden“No no il tedesco non riuscirò mai a studiarlo, con tutte queste parole lunghissime”. Tutti quelli che hanno imparato la lingua di Goethe questa frase se la sono sentiti dire più di una volta. Tedesco uguale parole infinite, un’equazione abbastanza corretta. Se in italiano il lemma più lungo è di 29 caratteri (esofagodermatodigiunoplastica), in inglese di 45 (pneumonoultramicroscopicsilicovolcanoconiosis), in tedesco la parola con più grafemi ne ha 63. O meglio ne aveva. Perchè da mercoledì scorso, il 29 maggio Rindfleischetikettierungsüberwachungsaufgabenübertragungsgesetz, (la legge sul trasferimento degli obblighi per l’etichettatura della carne di manzo, abbreviato in RkReÜAÜG ) il lemma più lungo in tedesco non si userà più.
Il Land del Mecklenburg-Vorpommern, ex Germania orientale, ha infatti abrogato la legge introdotta nel 1999 per difendere i consumatori di Schwerin e dintorni dal morbo della “mucca pazza”. La parola era diventata la più lunga presente nel vocabolario, dopo che nel 2003 il Parlamento della città-Stato di Berlino aveva cancellato il Grundstücksverkehrsgenehmigungszuständigkeitsübertragungsverordnung ( direttiva per l’assegnazione delle licenze di competenza per i beni immobiliari ), 67 caratteri e un incubo ricorrente. Adesso la legge del Meclemburgo è stata aboilita ma l’amministrazione ne farà un’altra, per cui, ovviamente si cercherà una denominazione più lunga per “rientrare” nel Guinness dei Primati e magari raggiungere “Donaudampfschiffahrtselektrizitätenhauptbetriebswerkbauunterbeamtengesellschaft”, la parola con più caratteri, 79, mai registrata nella lingua tedesca. Che ormai non si usa più ma che designava l’”Associazione degli ufficiali subalterni della direzione dei servizi elettrici della compagnia a vapore del Danubio”. L’impresa potrebbe essere meno difficile di quanto si pensi, perchè in teoria in tedesco una parola potrebbe non finire mai.

Dj Besho, l’afghano di Germania che fa cantare Kabul

28 Mag

E’ tra gli artisti più ascoltati tra i ragazzi di Kabul, ma è tedesco. Almeno un po’. Si chiama Bezhan Kunduzi, ma tutti lo conoscono come DJ Besho. Ha 29 anni ed è il papà del rap afghano. Vestiti bianchi, occhiali da sole e versi in rima. In dari, lingua parlata soprattutto nelle zone confinanti con l’Iran, ma anche in pashtun, l’idioma maggioritario in Afghanistan.

Un’abilità quella di rappare imparata da DJ Besho in Germania, a Wiesbaden, dove Bezhan era emigrato durante la Guerra civile insieme alla famiglia, papà di etnia Pashtun, mamma tagika e quattro sorelle. Nella città dell’Assia il ragazzo ha vissuto qualche anno, ha studiato e vedendo i suoi compagni cantare in rima (in tedesco) si è appassionato al genere. E quando è tornato a casa, in Afghanistan si è “messo in proprio”. Con qualche variazione, per esempio nello stile e nei temi. Niente macchinoni di lusso ( se non nei video) e soprattutto niente inni al sesso libero alla droga.

Besho canta quello che ha vissuto sulla sua pelle per far riflettere chi lo ascolta, cioé quel 25% di afghani che hanno meno di 25 anni. A loro Bezhani prova a raccontare che la fuga verso l’Occidente non è la soluzione di ogni problema e soprattutto che “non esistono pashtun, tagiki e hazari ma solo afghani”. E per farlo ora ha anche uno show alla televisione nazionale, in cui spiega l’hip hop. Con un occhio alla Germania e a Die Fantastichen Vier, (originari di Stoccarda) uno dei suoi gruppi hip hop preferiti.

“Sushi a Suhl”, la Ddr in salsa di soia

20 Ott

L’anniversario della caduta del Muro di Berlino si avvicina e in Germania, come spesso capita, è tempo di film sulla DDR. L’ultimo è “Sushi in Suhl”, diretto da Carsten Fiebler e uscito nelle sale tedesche il 18 ottobre. E’ la storia un po’ romanzata di Rolf Anschuetz, cuoco di Suhl, una città di 40mila abitanti in Turingia che negli anni 60, in pieno “socialismo reale” e in piena Repubblica Democratica tedesca, decise di trasformare il Waffenschmied, il locale di famiglia, in un ristorante giapponese.

Sushi e tempura, al posto di wurstel e crauti. Un sogno, nato da una passione per la cucina giapponese, scoperta durante gli studi di gastronomia a Lipsia. Un’amore per il Sol Levante coltivato negli anni e portato avanti con quello che la Ddr offriva. Un esempio? Per condire le pietanze niente salsa di soia ma salsa worchester. Il film è la cronaca di un successo, ma anche delle difficoltà e dei problemi per raggiungerlo. Oltre a essere il ritratto di un uomo, Rolf Anschuetz che ha trasformato un sogno in realtà. In un paese in cui la meritocrazia ( e il cibo giapponese) non era proprio all’ordine del giorno.

Il gran rifiuto

12 Mag

Rifiutare un premio. L’ha fatto Jean Paul Sartre con il premio Nobel 1964, l’ha fatto Marlon Brando nel 1972 con il Premio Oscar, l’hanno fatto tre giornalisti della Suddeutsche Zeitung con il premio Henri Nannen, uno dei riconoscimenti più importanti riservati ai giornalisti della Bundesrepublik.
A far pronunciare il gran rifiuto a Hans Leyendecker, Klaus Ott e Nikolas Richter, vincitori del primo premio nella categoria “Giornalismo investigativo” con un’inchiesta sullo scandalo della banca di stato bavarese Bayern LB, la decisione da parte della giuria di premiare per la prima volta nella storia due redattori della Bild, il tabloid tedesco famoso per il gossip, la cronaca nera e le procaci signorine che sempre appaiono sulle sue pagine. Martin Heidemanns e il suo collega Nikolaus Harbusch si sono aggiudicati il riconoscimento per un’inchiesta dal titolo “Bufera sul credito privato: Wullf ha ingannato il Parlamento?” e pubblicata l’11 dicembre. Un pezzo in cui si parlava per la prima volta in maniera precisa dello scandalo che poi avrebbe travolto il presidente della Repubblica Christian Wulff e che l’avrebbe portato alle dimissioni.

Da “apprendista stregone” sono un po’ perplesso. A me hanno insegnato che i giornalisti non si misurano dalla testata in cui scrivono, ma dalla loro bravura.

Un tedesco a Los Angeles

24 Gen

Pina Bausch è morta improvvisamente nel 2009

Wim Wenders e gli Stati Uniti hanno un rapporto lungo e fruttuoso. Negli States il regista originario di Dusseldorf ha ambientato uno dei suoi film più famosi Paris, Texas e per anni ha passato lunghi periodi nel Nuovo Continente. Amato dalla critica e dal pubblico Wenders però non ha nella sua stanza dei trofei (Leone d’oro, Bafta, Palma e Orso D’Oro) neppure un Oscar. Nel 2000 ci è andato vicino con il documentario Buena Vista Social Club sull’omonimo gruppo cubano, battuto nella corsa alla statuetta da One Day in September di Kevin McDonald. Nel 2012 ci potrà riprovare con un altro documentario Pina, incentrato sulla vita e il lavoro della coreografa tedesca Pina Bausch, pellicola nominata oggi dall’Accademy Awards nella cinquina dei migliori documentari. Un’opera che è stata definita da molti un capolavoro, sia dal punto di vista del messaggio che dell’estetica. Il racconto della vita di un’artista che con il teatro-danza e il TanzTheater Wuppertal ha rivoluzionato il mondo della danza moderna. Un ritratto, quello di Wenders che ha un tocco estremamente umano perché prima di essere il soggetto di un suo lavoro Pina Bausch era una sua amica di lunga data e nelle idee del regista di Dusseldorf Pina sarebbe dovuto essere un lavoro realizzato insieme alla ballerina, scomparsa nel 2009.
Ma Wim Wenders alla cerimonia degli Academy Awards non sarà da solo. Con lui ci sarà Max Zähle che con il suo cortometraggio “Raju” concorrerà nella categoria “Live action Short film”, sperando di migliorare Student Academy Awards di bronzo del 2011.

La sua battaglia

16 Gen

In teoria dovevano mancare poco meno di quattro anni.  In pratica otto giorni. E in Germania potrebbe cadere un altro tabù. Nelle case dei tedeschi dal 26 gennaio potrebbe tornare, a distanza di settant’anni, il Mein Kampf, il libro manifesto del nazionalsocialismo che Adolf Hitler scrisse nel 1924 durante la sua prigionia della fortezza di Landsberg am Lech. L’opera, i cui diritti fino al 31 dicembre 2015 sono detenuti dal Governo bavarese, potrebbe essere pubblicata dall’editore britannico Peter Mcgee. In Germania, nonostante possedere e acquistare il libro sia legale, a meno che non lo si faccia per fare propaganda al nazionalsocialismo, non è permessa la sua riproduzione e la stampa. E soprattutto manca un’edizione completa e commentata del Mein Kampf e rivolta al grande pubblico. Una mancanza che proprio McGee vorrebbe colmare, pubblicando estratti da 15 pagine dell’opera di Hitler nella serie Zeitungszeugen, raccolta di giornali pubblicati durante il nazionalsocialismo, uscito in edicola a cura della casa editrice di Mcgee con il commento di alcuni storici. Una edizione  che potrebbe anticipare quella dell’Institut für Zeitgeschichte, una delle istituzioni accademiche che si occupa di storia del nazionalsocialismo e che sta preparando un’edizione filologica dell’opera di Adolf Hitler. Il governo bavarese ha annunciato ricorso, anche se la casa editrice britannica dice di voler pubblicare gli estratti senza nessun fine ideologico. Anche perchè saranno accompagnati da un saggio critico di uno storico.

P.s Scusate la nuova pubblicazione, ma penso che una delle doti di un “apprendista stregone” sia quello di riconoscere di aver sbagliato. O meglio di aver sbagliato alcuni dettagli importanti

“Rush”, Lauda secondo Daniel Bruhl

31 Dic

(Foto Dpa)

Tra la Germania e Hollywood c’è sempre stato un lungo filo. Ernst Lubitsch, Marlene Dietrich, Friedrich Wilhelm Murnau, Wim Wenders, sono solo alcuni degli attori e registri tedeschi che hanno fatto fortuna negli States. Negli ultimi tempi a questi “mostri sacri” del cinema si sta aggiungendo una nuova generazione di attori. Come Daniel Bruhl. Sì, proprio lui, l’adolescente innamorato e sballottato dal destino di Good Bye Lenin, l’anarchico catalano Salvador Puig i Antich di Salvador 26 anni contro e il soldato tedesco cotto della bellissima Melanie Laurent in Bastardi senza gloria. Il ragazzo, 33 anni, nato a Barcellona ma cresciuto a Colonia, è stato scelto da Ron Howard, l’ex Ricky Cunningham di Happy Days e ora regista pluripremiato,  per interpretare il pilota Niki Lauda in “Rush”, un film sulla Formula 1 incentrato sulla figura dell’austriaco e sul suo duello con il pilota inglese James Hunt nella stagione 1976. Su questa nuova sfida professionale Bruhl ha rilasciato un’intervista al sito del quotidiano online Die Welt. Risposte da cui emerge una passione vera per i motori. “Ero già un appassionato di motori – ha detto Bruhl – in Spagna per un po’ ho guidato i kart e ho fatto anche un corso con le auto di Formula 3”. Affascinato dalla velocità e dal rombo delle F1 nella preparazione per il ruolo Bruhl è stato molto aiutato dall’aver incontrato Niki Lauda. “Ero un po’agitato quando l’ho visto la prima volta, ma lui è stato subito molto disponibile. E’ strano interpretare un mito”. L’attore cresciuto a Colonia ha già preso confidenza con le auto d’epoca al Nurburgring, proprio dove Niki Lauda visse due momenti simbolo della sua carriera. Nel 1975 l’incidente che lo sfigurò e da cui si salvò per l’intervento dei colleghi Harald Ertl, Guy Edwards, Arturo Merzario e Brett Lunger. E dove un anno dopo colse un quarto posto, all’indomani di un incidente terribile in prova. Proprio nella stagione del duello con il grande James hunt. Che l’uscita del film non la potrà vedere. Visto che la vita di eccessi l’ha pagato 19 anni fa. Con un infarto.

Almanya, i turchi di Germania

1 Dic

Raccontare una storia di fatica e difficoltà con leggerezza. A tratti con ironia pungente. Ci è riuscita a mio parere Yasemin Samredeli. Turca di nome ma tedesca di nascita e di passaporto è la regista di Almanya -La mia famiglia va in Germania, pellicola proiettata in prima nazionale mercoledì 30 novembre all’Anteo di Milano e al cinema Rondinella di Sesto San Giovanni. E’ la storia di una famiglia turca che nel 2010 si confronta con il suo presente e prova a ricordare il suo passato. L’occasione è la decisione di Huseyin Hilmaz il patriarca della famiglia di tornare in Turchia, nel paesino anatolico da dove lui era partito nel 1964. La ragione? Una casa da ristrutturare. Un viaggio in aereo e poi in minivan. In cui si ripercorreranno attraverso la narrazione della giovane nipote Canan la storia della famiglia Hilmaz. Dalla fuitina tra nonno Huseyin e nonna Fatma, all’approccio con il nuovo paese, visto come un paese “strano” in cui i tre figli più grandi di Huseyin ne combinano e ne fanno di ogni tipo. Ma sarà anche un viaggio in cui emergeranno segreti e torneranno evidenti le tensioni di una famiglia. Che fatica a restare unita.

Al di là dell’aspetto cinematografico Almanya rende giustizia a suo modo a chi, come i Gastarbeiter, non solo turchi hanno contribuito a costruire la Germania attuale, arricchendola non solo in termini di punti di Pil o di produzione industriale ma anche sotto il profilo culturale e umano. Significativa la frase che chiude il film. Una citazione dello scrittore e architetto svizzero Max Frisch “Abbiamo chiamato manodopera e sono arrivati uomini”. Un’idea che qualcuno, anche qui da noi, si dimentica.

Bayreuth, Wenders rinuncia

6 Apr

Wim Wenders è il Gunter Netzer delle cinematografia tedesca. Un fuoriclasse assoluto, come direbbe qualcuno. Con l’amore per le sfide, come quella di dirigere nel 2013 l’Anello del Nibelungo di Richard Wagner al festival di Bayreuth, il santuario della musica del compositore tedesco.

E non in un’edizione qualsiasi, ma in quella del bicentenario della nascita di Wagner, che cade il 22 maggio 2013.

Purtroppo il 65enne Wim questa sfida l’ha persa. “Diverse idee tra le parti che rendono impossibile la creazione di un consenso indispensabile per fare un buon lavoro” questa la motivazione resa nota dall’entourage di Wenders e dalle direttrici del Festival Eva Wagner-Pasquier e Katharina Wagner in una nota comune.

Un annuncio che arriva a sorpresa, visto che in Baviera si dava tutto già per fatto. Le ragioni? Non era un mistero che l’idea di Wenders sulla rappresentazione del 2013 fosse ambiziosa, una rappresentazione per la “posterità” con apertura al 3D. E proprio su questo si sarebbe arenata la discussione con gli organizzatori del Festival che si era comunque sempre dimostrata convinta di “giungere un accordo”.

Ma il problema arriva adesso, perché è nella prassi di Bayreuth i registi delle opere sono designati con molto anticipo come con anticipo sono decise le condizioni di produzioni. Un periodo che può arrivare anche a cinque anni, una decisione che ha consentito agli organizzatori della rassegna wagneriana di avere alla loro corte registi cinematografici di grido, come Volker Schlondoerff regista del “Tamburo di Latta” o del grandissimo Werner Herzog o del serbo Emir Kusturica.

E adesso? Le due signore del Festival sono alla ricerca.